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giornale di cantiere  

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Al momento della sospensione questo blog era stato visitato per 25.000 volte
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30 gennaio 2003
 
Nel sito bibliolab c'è una rassegna delle case coloniche tradizionali italiane. Le foto non sono un granché, tuttavia rendono l'idea della varietà di forme che l'abitazione rurale assunse in relazione all'ambiente naturale e alla struttura economica delle varie regioni.
Il casone veneto colpisce per il tetto: la copertura in paglia può apparire primitiva e poco funzionale solo a chi non ha mai partecipato alla costruzione di un pagliaio.

Si faceva così: d'estate l'erba era tagliata lunga e lasciata asciugare al sole, quindi raccolta e trasportata col carro nelle vicinanze di un lungo palo infisso nel terreno (stollo), possibilmente di cipresso o di altra essenza resistente alle intemperie. Il contadino cominciava a deporre piccole quantità di fieno ben disteso (poste), disponendole a spirale intorno allo stollo e pressando col proprio peso quelle sottostanti. Quando il pagliaio cominciava ad innalzarsi, le poste erano issate con forche dai manici sempre più lunghi verso il costruttore che rimaneva sulla sommità del cumulo finchè il diametro del pagliaio non si restringeva fino a terminare in forma di cono. Il lavoro era terminato.
D'inverno il pagliaio forniva cibo e giacigli per gli animali della stalla. Il fieno era prelevato dalla parte inferiore mentre il cono superiore intatto proteggeva la struttura dalla pioggia senza ostacolare l'aerazione. Pochi centimetri sotto lo strato esterno, il materiale si conservava perfettamente anche per anni.

Un fienile fatto di fieno: semplice, geniale, totalmente biodegradabile.



Giovanni Fattori     "Pagliaio"







26 gennaio 2003

 
L'ultima disavventura dei Baggiani, alle prese con un'antenna per cellulari, mi conferma un timore: NON C'È VIA DI SCAMPO.
La molestia è pervasiva, la fuga inutile, nessun luogo è lontano, urbi et orbi, canta che ti passa.
C'è all'ascolto qualche tardivo aspirante emulatore del Due di due di DeCarlo? c'è qualche illuso che vorrebbe seminare il progresso progressivamente ubiquitario, far perdere le proprie tracce, dileguarsi in uno sbuffo di vento ?
Quel qualcuno si rassegni. Ormai nessuno può sentirsi al sicuro.
La collina più remota potrà essere ombreggiata da un improvviso cavalcavia o da un traliccio traditore, la vallata meno nota potrà essere colmata dalla discarica speciale, la costa più amena s'ingolferà di petrolifera putredine. Amen.

Qualche anno fa lavorai per qualche tempo alla ristrutturazione di un cascinale perso nelle colline toscane. Lontano da centri abitati, servito da uno stradello sterrato impossibile, immerso nella macchia mediterranea. All'ora di pranzo mi godevo la brezza sulla terrazza coperta: nemmeno un'abitazione in vista, il richiamo delle poiane, il verde delle radure punteggiato da querce secolari e IL RONZIO CONTINUO DEGLI AEREOPLANINI CHE PORTAVANO IN QUOTA I FOTTUTI PARACUDUTISTI!

Non c'è via di scampo, inutile scappare. Siamo spalle al muro e ci tocca lottare, ci tocca.
Oppure provare con un atollo nel Pacifico. Mi hanno detto che dalle parti di Mururoa i prezzi sono abbordabili.



18 gennaio 2003

 
Un blog di news ambientaliste e non solo che linko sulla fiducia: Pandemia

 
Tra i tormentoni radioascoltabili di questo periodo c'è la riedizione di Una settimana un giorno di Edoardo Bennato. I più giovani credono che si tratti di un pezzo nuovo e io posso esibirmi nel racconto di quella volta che andai a vedere Bennato che poco lo consideravano e a sentirlo cantare saremo stati 100 e il suo gruppo non era arrivato e le luci non c'erano e lui fece un concerto spettacoloso con la grancassa in spalla e kazoo e armonica che gli fuoriuscivano da tutte le parti della bocca e sotto la luce fissa impietosa al neon noi si batteva il tempo e lui sudava.
Nello stesso album c'era una canzone profetica per i giorni nostri:

Ho un progetto in mente,
un parco in ogni città.
Quanto spazio verde,
la vita per voi cambierà...
... e costruirò ponti e larghe autostrade, a dieci e più corsie
senza code a caselli, pedaggi e altre diavolerie.
... e tutta la gente che è costretta ad emigrare, a casa tornerà,
ma già scuotete la testa, più non mi credete ormai...
... si, è vero!

Detto tra noi, sono solo un brigante, non un re,
sono uno che vende sogni alla gente,
fa promesse che mai potrà... mantenere.
Favole sì, ne ho contate ma tante, tante sai.
Detto tra noi, io non sono un gigante,
draghi non ne ho ammazzati mai...


 
Chi ha seguito le vicende della fuffa capirà il profondo significato dello scudetto qui sotto. Per gli altri sarà facile (ma non indolore) documentarsi nella blogosfera. Adesivo di Tienneti





15 gennaio 2003

 
Qualcosa che io non avrei saputo raccontare meglio, ma probabilmente da un altro punto di vista :-)

Un sito in cui si parla di bioarchitettura e ambiente in modo conciso ed esauriente: Archibio.com



14 gennaio 2003

 
Proprio mentre leggevo queste righe, scritte da Ivan Illich nel 1973, il giornale radio strombazzava la prossima costruzione del ponte sullo Stretto di Messina...

Appena si arriva a dipendere dal trasporto, non solo per i viaggi che durano parecchi giorni ma per gli spostamenti quotidiani, diventano acutamente palesi le contraddizioni tra la giustizia sociale e la potenza motorizzata, tra il movimento efficace e l'alta velocità, tra la libertà personale e l'itinerario preordinato. La dipendenza forzata dalle macchine automobili nega allora a una collettività di persone semoventi proprio quei valori che i potenziali mezzi di trasporto dovrebbero in teoria garantire.

La gente si muove bene con le proprie gambe. Questo mezzo primitivo per spostarsi apparirà, a un'analisi appena attenta, assai efficace se si fa un confronto con la sorte di chi vive nelle città moderne o nelle campagne industrializzate. E riuscirà particolarmente suggestivo quando ci si renderaà conto che l'americano d'oggi, in media, percorre a piedi, per lo più in tunnel, corridoi, parcheggi e supermercati, tanti chilometri quanti ne percorrevano i suoi antenati.

Chi dipenda esclusivamente dalle proprie gambe si sposta secondo lo stimolo del momento, a una velocità media di cinque o sei chilometri l'ora, in qualunque direzione e per andare in qualsiasi posto che non gli sia legalmente o materialmente precluso. Ci si aspetterebbe che ogni miglioramento di tale mobilità connaturata prodotto da una nuova tecnologia del trasporto salvaguardi quei valori e ne aggiunga degli altri, come un maggiore raggio d'azione, risparmio di tempo, comodità, maggiori possibilità per i menomati. Sinora non è questo che è accaduto. Anzi, lo sviluppo dell'industria del trasporto ha avuto dappertutto l'effetto opposto. Quest'industria, da quando le sue macchine a vapore hanno potuto mettere dietro ogni passeggero più d'un certo numero di cavalli vapore, ha diminuito l'eguaglianza tra gli uomini, ha vincolato la loro mobilità a una rete di percorsi disegnata con criteri industriali e ha creato una penuria di tempo senza precedenti. Appena la velocità dei loro veicoli varca una certa soglia, i cittadini diventano consumatori di trasporto nel giro dell'oca quotidiano che li riporta a casa, un circuito che gli uffici di statistica chiamano "spostamento" per distinguerlo dal vero "viaggio" che si ha quando il cittadino, uscendo di casa, si munisce dello spazzolino da denti.





11 gennaio 2003

 
Particolari rivelatori 2 (Glasnost)

I baffi di D'Alema sono di nuovo alla ribalta. Ricordo quando dirigevano la Federazione Giovanile Comunista Italiana e i quadri intermedi del Partito cercavano proseliti tra i giovani dell'epoca...

Il talent-scout della FGCI ci girava intorno da un po' di tempo. Ci spiava sornione dietro gli occhiali da intellettuale organico (il computer è un intellettuale inorganico?), sogghignava sotto la barba regolamentare, ci seguiva implacabile ciabattando sui (coi? su?) sandali francescani nella luminosa primavera anni Settanta. Eravamo vittime predestinate: primo anno delle superiori, capello ribelle ma non troppo, niente ragazze, sguardo svagato ma partecipe. Il procacciatore di militanti ci abbordò all'uscita della scuola, sciorinò il suo discorsetto con tono dimesso e rassicurante, strappò assenso incerto eppur plebiscitario.

Ore 15:30 - Riunione degli studenti - Ordine del giorno: a piacere.
Quel pomeriggio sostammo a lungo indecisi fuori della sede cittadina del PCI, un bunker in cemento armato poco invitante. Alla fine varcammo la porta a vetri. Le due grandi lastre di cristallo immacolato simboleggiavano certamente la trasparenza del partito, il suo rapporto franco e aperto con la nazione.
Subito oltre la porta a vetri si apriva la grande sala riunioni dove prendemmo posto imbarazzati. Quindici presenti.
Il talent-scout aprì l'assemblea con un sedicente breve intervento introduttivo. La pila di fogli dattiloscritti da cui attingeva implacabile aveva uno spessore minaccioso.
Dopo mezz'ora l'aria primaverile e il monotonotòno dell'oratore ci sprofondarono nel torpore. La resa era vicina quando un giovane quadro intermedio fendette (fendé? fendee? fendê? attraversò?) trafelato l'aula per sussurrare all'orecchio dell'oratore notizie indubbiamente vitali per il destino della classe operaia . Il capo-cellula soppesò gravemente ed infine mormorò un ordine perentorio al novello Filippide che biascicò un "Subito compagno!" e schizzò via scomparendo alle nostre spalle.

Pochi attimi dopo un tremendo boato scosse l'edificio. Il primo pensiero fu quello di un attentato. Ci alzammo di scatto pronti a reagire all'ennesima provocazione neofascista e... notammo subito una figura umana stampata contro la porta a vetri. Stava afflosciandosi lentamente, colando lungo il cristallo con le braccia aperte. La sacralità del luogo non impedì che il pensiero corresse subito a Wile Coyote e alle sue proverbiali capocciate.
Lo sfortunato messaggero si riprese abbastanza in fretta, la riunione no. Ogni volta che il talent-scout riprendeva il discorso, qualcuno scoppiava in una risata fragorosa (quella detta "di ripensamento") e trascinava gli altri in maniera irresistibile.
Questo episodio segnò la fine dei miei rapporti col PCI.




08 gennaio 2003

 
Particolari rivelatori

gancio_riquadroL'omologazione delle costruzioni moderne è messa ancora di più in evidenza dal confronto con le vecchie abitazioni rurali. Queste ultime sono legate profondamente e indissolubilmente all'ambiente circostante sia per la natura dei materiali impiegati (di solito reperiti in loco), sia per la presenza di particolari costruttivi caratteristici, originali perché legati a pratiche agricole circoscritte.

Girando per la Lucchesia s'incontrano ancora queste file di piccoli ganci sulle facciate delle vecchie abitazioni. Potrebbero far pensare a sostegni per pergolati di vite, ma sono posti troppo in alto. In realtà a questi ferri venivano appesi lunghi pali di legno (calocchie) attorno ai quali erano fissate le pannocchie di granoturco fresche. Disposte le pannocchie in modo simile a caschi di banane, queste erano fatte essiccare sul lato più soleggiato della casa e quindi sgranate, macinate e consumate nel corso dell'inverno.

Un particolare architettonico lucchese più comune è il mandorlato, impiegato sia nei fienili distaccati che in quelli inseriti nel corpo stesso delle abitazioni.
I mattoni, posti di taglio con andamento alternato, sono discretamente portanti, proteggono il fieno dalla pioggia e allo stesso tempo garantiscono una buona areazione. Solitamente il mandorlato si trova al primo piano, sopra la stalla.
Estetica e funzionalità davvero ammirevoli.

castelvecchio_mandorlato.JPG             mandorlato_particolare.JPG







04 gennaio 2003

 
Cronache dalla blogosfera

Ludik pubblica la seconda parte delle Autoanalisi dei blog. Sul divano c'è anche giornale di cantiere.

Fabrizio Ulisse (vulgo Biccio) scrive un lungo articolo sui weblog per Internet Magazine.
In un box le risposte di alcuni bloggatori italiani alla domanda: "Perché un blog?"
La mia risposta: "Per convertire le idee in formato bidimensionale teletrasportabile".
Quella di Leonardo: "Perché su Internet sembro più alto".
Come sempre accade, diversi URL sono sbagliati. Stavolta tocca a me e ad altri quattro della scuderia Blogspot.

Oggi Bloggando elenca 1049 blog italiani. Quando segnalai giornale di cantiere (marzo 2002) ce n'erano un centinaio. Dalla macchia di leopardo alla macchia d'olio.

Come affronteremo il 2003 senza Madame?





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